8° Convegno 2021: Maltrattamento e abuso

8° Convegno: sintesi

Bellinzona – 13 ottobre 2021

La coordinatrice di AvaEva Valentina Pallucca dà il benvenuto alle numerose partecipanti e ringrazia chi ha sostenuto l’Associazione nella realizzazione di questo convegno, in particolar modo fa riferimento al Percento culturale Migros e al Consiglio degli anziani del Canton Ticino.
In seguito presenta le AveEve che formano l’attuale Comitato; Patrizia Negri, Regula Matasci-Brüngger, Monika Lechner-Pietzko e Odille Pedroli-Conrad. Ciascuna saluta le partecipanti e onde favorire la loro conoscenza trasmette una breve sua presentazione personale.

Pallucca informa che di seguito darà la parola alla Signora Chiara Orelli Vassere da poco nominata coordinatrice Istituzionale in ambito di violenza domestica, presso la Direzione della Divisione della giustizia. La relatrice trasmette i saluti anche a nome delle autorità Cantonali ed esprime molta soddisfazione nell’apprendere dell’interessamento di AvaEva di voler riflettere ed approfondire una tematica che ritiene purtroppo molto attuale, necessaria ed in crescita. Sottolinea che la violenza domestica sia fisica, economica, rivolta a giovani, donne o no, ritiene assolutamente necessario individuare quali possano ritenersi le migliori strategie d’adottare per poter prevenirla. Sottolinea che questo sarà il prossimo compito che l’attende.

Riprende la parola Pallucca per avvertire che per favorire un migliore approccio alla tematica del maltrattamento, interverrà prima la Dott.ssa Ravera e successivamente la Prof.ssa Sargenti.

La Dott.ssa Francesca Ravera è psicologa e psicoterapeuta, opera da qualche anno nel Servizio di Promozione e Qualità di Vita di ProSenectute. Le sue esperienze professionali in riferimento alla tematica oggetto di studio, hanno origine nei momenti in cui in qualità di psicoterapeuta operava in una Casa anziani in Italia ma anche all’attività svolta allo sportello di ProSenectute aperto proprio a chi ne ha bisogno di sostegno in merito a modalità che potrebbero collocarsi in casi di abuso anche se lievi.

Ravera prende la parola ed inizia presentando il servizio di ProSenectute in cui opera e accenna alle esperienze professionali attuali e precedenti in casa anziani ed in un consultorio famigliare, per meglio collocare la sua esperienza. Ribadisce che il lavorare con le famiglie ma anche con solo gli anziani, abbia arricchito notevolmente le sue esperienze in particolar modo nel campo difficile e delicato dei maltrattamenti Chiede alle partecipanti di intervenire quando lo ritengano necessario. Il risultato è stato quello di poter assistere ad una vera e propria interazione, molto dinamica fra lei e le presenti che arricchisce ulteriormente la presentazione di Ravera ma anche la partecipazione.
Oltre alle esperienze sul campo, la relatrice accenna a un libro “Persone Care” di Vera Giaconi Edizioni Sur, che in dieci racconti trasmette il legame fra le persone care.
Sottolinea che proprio le persone care son quelle che ci impegnano di più nella vita; lo stare vicino ed occuparsene delle persone care può diventare un impegno insostenibile.

Pone il quesito alle partecipanti “che cos’è il maltrattamento?”.
Una partecipante si riferisce al rallentamento di suo marito durante l’invecchiamento che a lei creava impazienza e sostiene che se non era attenta e controllata, l’avrebbe trattato male. Il fatto della difficoltà che pone l’anziano con i cambiamenti temporali e non solo richiede pazienza e autocontrollo. Inoltre dover ricordare all’anziano costantemente molte regole del comportamento, come agli adolescenti, può anche fare innervosire il famigliare che lo assiste.

A tale proposito Ravera affronta subito le modalità relazionali fra l’anziano e chi l’accudisce accennando a quanto in modo ricorrente l’anziano viene trattato come un bambino oppure un adolescente, perdendo completamente di vista che l’anziano non è sprovvisto di esperienze, quindi non è all’inizio della vita. Inoltre l’uso di vezzeggiativi e coccole fuori luogo o altre forzature, vengono purtroppo talvolta usati quotidianamente.

Riprendendo i cambiamenti rispetto al fattore tempo, va detto che da giovani non si vede l’ora di poter rallentare; il non dover correre sempre, si vede come qualcosa che porta alla libertà, eppure quando l’anziano rallenta per gli altri è uno shock. Bisognerebbe accorgersi della necessità di accompagnare questo rallentamento che potrebbe porci di fronte alla fragilizzazione dello stesso anziano. In questa direzione si potrebbe sostenere che “perdere la pazienza” o comportamenti simili, denotano scarsa accettazione dei cambiamenti che l’anziano in quanto tale sta attraversando.

A questo punto proviamo a definire il maltrattamento degli anziani e ci domandiamo se é un atto, un gesto o un atteggiamento e per analizzarlo è anche necessario interrogarsi sul rapporto che c’è tra chi mette in atto un atteggiamento maltrattante e chi lo riceve. Sarebbe necessario inoltre riflettere sull’entità stessa dell’atto maltrattante e sulla gravità o meno.
Possiamo affermare che «Il maltrattamento degli anziani è un insieme di comportamenti o di atteggiamenti, singoli o ripetuti che riguardano la persona anziana all’interno di un contesto di confidenza o di dipendenza che può causare l’esaurimento o delle ferite a queste persone.
Il maltrattamento può essere di tipo fisico, morale, finanziario, sessuale o più semplicemente negligenza.»

A questo punto però è necessario distinguere la violenza dal maltrattamento ordinario.
Nella violenza assistiamo ad una intenzionalità negativa dove l’aggressività attiva del maltrattante, procura un grave danno psicofisico all’anziano. In questo caso i mass media danno grande enfasi al problema, dichiarano apertamente forte indignazione e tolleranza zero e ribadiscono gli estremi per l’intervento a livello legale.

Il maltrattamento ordinario invece è involontario e non intenzionale, quindi l’aggressività del maltrattante è passiva. Il danno che procura è psicologico quindi invisibile ed è riscontrabile sia in ambito istituzionale o nel contesto domiciliare. Si tratta di un fenomeno che viene ignorato dai media e dall’opinione pubblica, in cui gli estremi per un intervento legale non emergono.

A questo punto possiamo affermare che il rischio zero di maltrattare non esiste, ed i fattori che possono determinarlo sono svariati.
Assistiamo ad esempio a differenti percezioni rispetto a ciò che riteniamo maltrattante o a cosa non lo é. Queste differenze dipendono da noi e dai nostri valori, capacità, modi d’intendere, ma anche dalla conoscenza che abbiamo dell’anziano che abbiamo di fronte.
Risulta innegabile la difficoltà che genera l’occuparsi di soggetti con problematiche cognitive, ed il riconoscimento della frustrazione che talvolta la pratica professionale con questi soggetti genera, non sempre è a portata di tutti.
Uno stesso gesto, atto, atteggiamento potrebbe avere conseguenze diverse in contesti diversi e con persone diverse.

Esistono però alcuni fattori di rischio nel famigliare curante, che potrebbero mettere a repentaglio una “sana relazione” con l’anziano.
Ad esempio la sensazione d’impotenza, il sovraccarico di impegni, lo stress, l’esaurimento, possono ridurre la capacità cognitiva del caregiver. Se a ciò aggiungiamo la mancanza di gratificazione per il lavoro svolto, le eventuali difficoltà economiche e sociali, la dipendenza economica dalla persona anziana, la non conoscenza e accettazione della malattia del proprio caro, è facile avvicinarsi al rischio di maltrattare.
Per quanto detto riteniamo un grosso rischio il dover essere unico caregiver; la convivenza in ambiente ristretto, l’isolamento sociale e l’assenza di sostegno e aiuto esterno, favoriscono le difficoltà relazionali con il soggetto da accudire.

Pur consapevoli che ogni anziano è una persona unica e diversa dalle altre attorno alla quale gravitano molteplici dinamiche famigliari e istituzionali, abbiamo riscontrato alcune caratteristiche comuni agli anziani dipendenti che di seguito elenchiamo.
Generalmente ci si riferisce ad un paziente complesso, con un forte bisogno di cure sia tecniche che emotive e relazionali, (alta dipendenza da terze persone come caregiver, badante, spitex, figli), che presenta disturbi cognitivi, disturbi della comunicazione con difficoltà di espressione e comprensione, disturbi comportamentali e/o di aggressività con pochi contatti sociali.

Onde completare questa riflessione ci sembra opportuno identificare alcune delle cause che potrebbero generare il maltrattamento.
Fra le cause relazionali troviamo alla base il rapporto anziano/caregiver, caratteristiche del famigliare, dell’ospite, dell’operatore, ed i bisogni di ciascuno di questi. Per quanto riguardano le cause situazionali/ambientali troviamo i fattori contestuali, le condizioni di lavoro, le questioni organizzative.
Fra le cause sociali risulta determinante l’immagine che si ha delle case per anziani, e contemporaneamente l’immagine e la rappresentazione che la società ha degli stessi anziani.
Infine sono determinanti anche le eventuali cause personali e cioè i disturbi psichici dei curanti, il probabile disagio emotivo, la motivazione al lavoro, lo stress, l’insoddisfazione.

Da quanto enunciato fino ad ora ci permettiamo di ribadire alcuni elementi essenziali che potrebbero garantire ai professionisti una miglior presa a carico dell’anziano.
Riteniamo fondamentale la conoscenza delle patologie cognitive, psichiatriche, dipendenze e delle loro manifestazioni e correlazioni e la conoscenza della biografia dell’anziano e/o dell’anamnesi clinica del paziente.
Infatti solo con una solida formazione, in presenza di competenze tecniche e relazionali, e basandosi in una solida conoscenza di sé, dei propri limiti e risorse, è possibile affrontare una relazione professionale solida e predisposta a mettersi in discussione e riflettere sul proprio agire professionale.

 

Carla Sargenti è stata docente e ricercatrice al DEASS della SUPSI e da poco in pensione, da quaranta anni si occupa professionalmente di geriatria e gerontologia.
La riflessione che porta è frutto di esperienze maturate in questi ultimi 20 anni, in effetti a fine anni ‘90 lavorava già su questo tema a Ginevra. La sua attività di formazione alla Supsi, la collaborazione con PIPA a partire dal 2000 le hanno permesso di arricchire l’esperienza professionale. La ricerca nelle Case per Anziani attuata dal Centro Competenza Anziani della SUPSI per conto del Cantone ha aggiunto un tassello importanti al suo bagaglio professionale; è proprio di questa indagine che parlerà.

Sargenti specifica che parlerà di Maltraitance Ordinaire (in seguito MO) chiamata anche maltrattamento passivo o istituzionale e di Bientratance (in seguito Bi). Fa presente che il 70% dei maltrattamenti avviene nelle mura domestiche mentre il rimanente 30% in istituzione.

La MO é quel tipo di maltrattamento che si insinua in modo impercettibile nei gesti di vita quotidiana, è molto rischiosa e tende ad essere banalizzata perché apparentemente invisibile e dunque, viene quasi accettata passivamente. E’insidiosa perché non si manifesta attraverso gesti clamorosi e chiaramente definiti, ma attraverso «piccole» negligenze e disattenzioni quotidiane.
Alcuni esempi sono fare una toilette velocemente, imboccare senza prestare attenzione alla persona, non rispondere a richieste di vicinanza ed ascolto, l’utilizzo di un linguaggio non conforme e poco rispettoso, i rumori, ecc…

La MO si annida nei piccoli gesti quotidiani ed è la banalizzazione di queste stesse azioni da parte dell’anziano ma anche da chi se ne occupa di lui, a renderla pericolosa. Non procura ematomi ma vere e proprie lesioni psicologiche.
Talvolta le norme, le prassi istituzionali, le regole organizzative che l’anziano non gradisce (orari di cena o di lasciar la camera) oppure l’eccessiva stimolazione a partecipare a differenti attività possono far parte della MO.

Ma nella maggior parte delle situazioni di MO, non vi è necessariamente intenzionalità, o coscienza di nuocere, ma piuttosto domina prioritariamente l’assenza di coscienza, di pensiero, d’intenzione, di empatia … In definitiva, prevale l’assenza dell’Altro.

Sargenti affronta di seguito il tema della bientraitance (Bi) e individua l’approccio che la caratterizza come il cammino che le organizzazioni e i professionisti devono compiere per sviluppare quella cultura comune che pone realmente al centro il rispetto incondizionato della persona, rendendola a pieno titolo co-autrice del suo percorso (partecipazione del residente e dei famigliari alle decisioni e al suo progetto di vita), rispondendo così ai principi enunciati nella Carta della bientraitance e all’evoluzione legislativa in materia di tutela dei diritti umani.

La Bi si traduce in una cultura condivisa che ispira le azioni individuali e le relazioni collettive all’interno di un servizio, a partire da visione e valori istituzionali declinati nell’agire e interagire quotidiano.
Si caratterizza nella ricerca permanente e continua di personalizzazione della prestazione e richiede uno scambio continuo tra tutti gli attori coinvolti.
Valorizza il ragionamento critico che porta a una costante riflessione etica collettiva sulle pratiche professionali, permettendo quella dinamica di circolarità di pensiero e azioni richiesta dalla complessità.

A livello operativo la Bi promuove il rispetto incondizionato della persona anziana, dei suoi diritti e delle sue volontà, della sua storia, della sua dignità e della sua individualità; rendendola a pieno titolo co-autrice del suo percorso.
Incoraggia quindi il saper essere, un saper agire, un saper ascoltare e un saper dire, attento all’altro, reattivo ai bisogni e alle richieste dell’anziano e rispettoso delle scelte e ancora di più dei rifiuti.
Perciò dà impulso ad un’attitudine di attenzione e di adeguamento permanente all’evoluzione dei bisogni e alle situazioni specifiche delle persone anziane.
Per quanto detto il modello della Bi ci porta ad aderire a tutti i suoi principi e a condividere tutti i valori dichiarati a livello teorico; a livello pratico però è più difficile renderli praticabili nella quotidianità professionale di tutti i giorni.
Sovente l’operatore deve sapersi confrontare con i rifiuti (di cura, di assistenza, anche personali) … accettarli senza scoraggiarsi non sempre è facile. Possiamo affermare che quando le situazioni sono semplici, tutto va bene, ma che di fronte a reazioni inattese, dilemmi esistenziali, rifiuti, scelte difficilmente condivisibili o quando la sua scelta è diametralmente opposta a ciò che avrei fatto io, le soluzioni non sono mai scontate!
Pensiamo poi a quando so che questo atteggiamento è nocivo alla sua salute,è contrario al principio di salute o di igiene … ma è una sua scelta e denota l’autodeterminazione!? Quanto tempo è necessario per decidere il da farsi e quanta riflessione risulta necessaria prima di arrivare a stabilire la scelta finale?
Poi, è da tenere presente che individualmente possiamo essere tutti attenti, rispettosi, ma a livello di gruppo, di équipe, di settore, è possibile sempre osservare tutto quello che la Bi consiglia?

Sargenti dopo questa necessaria e ricca premessa, ritiene complementare affrontare anche se non in modo approfondito, gli elementi fondamentali della ricerca del 2013-15 diventata progetto a partire del 2016 sul tema «Prevenzione del maltrattamento e promozione della bientraitance» .

La DASF (divisione dell’Azione Sociale e delle Famiglie) come si accennava all’inizio, decide di approfondire il fenomeno del maltrattamento nelle Case per Anziani, propone il mandato al team SUPSI-Centro Competenze Anziani che imposta il percorso basandosi su un approccio aperto, qualitativo.
Gli obiettivi individuati erano acquisire elementi di comprensione della complessità del lavoro in Casa per Anziani (competenze, comportamenti, formae mentis, …), valorizzare l’impegno degli operatori e identificare fattori di rischio e protezione rispetto alla maltraitance ordinaire/bientraitance delle persone residenti.

I valori che hanno guidato il progetto e la ricerca sono i seguenti.
Il rispetto della persona, della sua dignità ed intimità, della riservatezza e della privacy.
Il rispetto dell’AUTODETERMINAZIONE della sicurezza e della libertà.
Il riconoscimento dell’identità della persona e del suo progetto di vita, nonché la garanzia di continuità nei diversi processi (accoglienza, accompagnamento,…)

La partecipazione alla ricerca era su base volontaria; è stato creato un campione rappresentativo composto da 17 case. Oltre a queste e alla fine della ricerca altre case hanno sollecitato per poter aderire al progetto arrivando ad una trentina d’istituti partecipanti.

In ognuna delle case del campione, è stata effettuata un’osservazione strutturata, è stata somministrata una scheda ai collaboratori, è stata analizzata la documentazione interna (protocolli, struttura, strumenti di cura, ecc). E’ stato creato un focus group con i quadri istituzionali per approfondire gli elementi emersi e raccogliere ulteriori informazioni.
Al termine sono stati restituiti i risultati sensibilizzando i collaboratori sulla situazione riscontrata ed è stato redatto un rapporto conclusivo.

 

Alcune tendenze emerse e su cui riflettere.
Da questa esperienza emerge che nelle strutture per anziani del Cantone vi è grande impegno, molta motivazione e una vasta apertura, ma forse bisogna soffermarsi e meglio riflettere sulla scarsa consapevolezza di situazioni di Bi (rispetto ai valori di riferimento).
E’ emersa infatti la difficoltà a cogliere la ricchezza e la raffinatezza sviluppata in queste circostanze, dunque la difficoltà a far divenire queste prassi un esplicito modello di riferimento che quindi potrebbero costituire situazioni riproducibili!
E’ affiorato un certo stupore di fronte a situazioni di MO, già identificate dall’organizzazione ma che si ripresentano (rumore assordante durante i pasti, parlare della persona in terza persona, scarsa attenzione all’intimità, …)
E’ apparsa una diversificazione evidente, specialmente negli stili relazionali e nelle sensibilità rispetto ai comportamenti. (rappresentazioni, percezioni individuali, e/o una probabile non solida conoscenza gerontologica-geriatrica).
E’ rilevata la presenza di troppi progetti in corso, con eccessiva pressione sui collaboratori (stanchezza e potenziale inefficacia).

La sensibilizzazione ha consentito agli operatori di interrogarsi su prassi consolidate, su “stili comunicativi” e “modus operandi” non omogenei. È stato loro possibile quindi di scoprire e valorizzare buone prassi ed eccellenti modalità d’interazione e riconoscimento dell’altro, e di acquisire maggior consapevolezza e condivisione, ma anche di rinforzare la posizione delle direzioni e dei quadri intermedi rispetto a tematiche scottanti. 

Nel processo di promozione della Bi assumono particolare importanza la dimensione manageriale e organizzativa al fine di permettere lo sviluppo di una cultura condivisa a partire da visioni e valori istituzionali declinandoli nell’agire e interagire quotidiano!
Potenziare e sostenere concretamente nella quotidianità momenti condivisi di discussione di situazioni/casi clinici complessi attraverso i quali interrogarsi tanto a livello di buone cure, che di funzionamento del gruppo, diventano fondamentali.
Individuare, monitorare e condividere i diversi rischi di deriva (MO) in un’ottica di co-costruzione (statuto dell’errore).
Promuovere la corresponsabilità collettiva; tutti «responsabili» dell’agire del gruppo.

In quest’ottica diventa fondamentale avere un quadro istituzionale stabile, trasparente, con regole conosciute, e una posizione chiara rispetto al fenomeno dei maltrattamenti.
E’ determinante poter definire ed esplicitare ciò che si riesce e non si riesce ad offrire !
E’ molto importante verificare fin dall’ingaggio, poi monitorare alcuni aspetti legati alle rappresentazioni, alla definizione dei percorsi formativi in modo chiaro e consequenziali, per garantir il consolidamento della trasposizione nella pratica. 

A questo punto e per riassumere Sargenti sostiene che la bientraitance NON è solo assenza di maltrattamento e NON è solo prevenzione del maltrattamento, ma è da considerarsi un processo dinamico di cambiamento culturale, un orizzonte verso cui tendere, mai definitivamente acquisito, richiede una mobilizzazione di tutta la struttura (compresi residenti e famiglie) in un progetto collettivo e trasversale.
Considera quindi la Bi una costante rimessa in questione delle pratiche professionali e delle modalità di accompagnamento e una predisposizione all’interrogativo accogliente piuttosto che alla risposta preconfezionata e statica.

Infine vengono ribaditi alcuni messaggi da portarsi a casa alla fine di questo pomeriggio quali ad esempio:
Ognuno, nel proprio ambito e ruolo, deve sentirsi responsabile, di promuovere attitudini bientraitantes, ponendo l’attenzione ai diversi rischi di deriva …
«per il suo bene», «l’ha detto il dottore», «abbiamo sempre fatto così», «io farei così», banalizzare, ecc. ...
Chi compie un gesto non adeguato, ha un’attitudine poco rispettosa dell’altro, NON lo fa (generalmente) per nuocere!
Siamo tutti a rischio d’incorrere in attitudini di MO.

È importante

  • Conoscere il fenomeno e interrogarsi sulle infinite aree grigie!
  • Condividere e parlarne in un clima di fiducia.
  • Interrogarsi costantemente e non dare niente per scontato.
  • CURARE CHI CURA